CRITICAL TEXTS

ELENA DI FELICE
Monica Ferrarini
Molto spesso l’arte contemporanea abbandona la bellezza formale, il compiacimento estetico, la descrizione del bello, per spostare l’attenzione sul piano concettuale o di analisi sociale vestendo il ruolo di “provocatrice”, utile per stimolare riflessioni attente, per fornire chiavi di lettura diverse in grado di dare un senso nuovo a ciò che accade e ci circonda.
Capita sovente che il contemporaneo non sia capito o venga mal interpretato, avvertito come qualcosa di alieno e distante, quando invece non c’è nulla di più “umano” di esso nel senso letterario del termine, ovverosia un qualcosa al servizio dell’uomo che può diventare strumento di analisi, di indagine, al fine di raccontare la realtà e i suoi accadimenti in ogni sua sfaccettatura: uno strumento per scandagliare, stimolare, riordinare le idee.
È tutto ciò che ritroviamo soprattutto nell’ultimo periodo di Elena Di Felice, artista curiosa, eclettica, in continuo divenire. Un’artista che non si è mai accontentata ma che si è sempre spinta oltre, attraverso una ricerca ragionata, nel tentativo di offrire qualcosa di nuovo e stimolante in modo da aprire con il suo fruitore un ponte di comunicazione.
La curiosità e l’attenzione verso l’uomo e la società, sono gli stimoli di una produzione che, soprattutto nell’ultimo periodo, si concentra sui fatti di cronaca sociale e politica, letti e interpretati attraverso accostamenti di forme e colori dal sapore destabilizzante e sorprendente.
Tecnica, forma e pensiero procedono sugli stessi binari in perfetto andamento armonico e si avvalgono di un linguaggio pittorico estremamente personale che abbraccia simboli e cromie generando scenari pittorici dove lo spettatore può immergersi alla ricerca di un significato nascosto, mai estremamente palesato o scontato.
La tecnica utilizzata del collage non è più semplice tecnica ma si arricchisce anch’essa di significati poichè la carta strappata, buttata, accartocciata, diventa metafora di un insieme di pensieri in evoluzione che si susseguono, si stropicciano, si buttano, cambiano, svaniscono, si accantonano per lasciare il posto ad altri in un ciclo di trasformazione perenne che diventa eterna costruzione e decostruzione.
Le forme che popolano gli ultimi lavori (insetti, fiori, piante, caramelle, pupazzi…) sono forme elementari, prese in prestito alla quotidianità e che sulla tela si vestono di nuovo contenuto: elementi zeppi di riferimenti al quotidiano perché la realtà diventa il grande contenitore dal quale attingere per creazioni ognuna con una propria storia legata ad una precisa esperienza.
Il significato espressivo e segnico di tutto il lavoro della Di Felice scaturisce da idee e ragionamenti che portano a visioni nuove, costruite su infinite possibilità combinatorie di forma, materia e cromie: sono immagini dotate di una brillante presenza visiva, animate da colori squillanti, sono presenze accattivanti che, al di là della loro ludica apparenza, celano un insieme di codici, allusioni e simbologie.
Siamo di fronte ad un linguaggio consapevole che instaura un rapporto diretto con la realtà e la storia sociale. Quadri animati da figure che arrivano dal mondo dell’infanzia come i coniglietti colorati di “Message”, “Notizia shoc”, “Personaggi”, disegnati su collage che utilizzano articoli di giornale i cui titoli spesso stridono con la “dolcezza” dei pupazzi di cui sono animati.
E ancora simpatici animaletti in opere come “Nella bacheca dei ricordi”, o elementi presi dalla Natura in “Il risultato è ciò che conta”, “Parlando di noi”, “Tra vecchio e nuovo”, “Un gioco”, tutti pronti a creare piccoli universi colorati e senza tempo che lasciano l’osservatore destabilizzato, incuriosito, sospinto a porsi nuove domande.
Anche la tecnica si fa metafora del pensiero ed in opere come “Per un nuovo giorno” o “Peluches”, lavori dedicati alle violenze di genere e alla condizione della donna, l’insieme strutturale gioca sul contrasto tra le tessere, rigorose e geometriche, che ricordano le coperte patchwork e il lavoro sartoriale e casalingo a cui le donne venivano costrette, in contrasto con il colore libero, vivo e casuale e la presenza di dolci scimmiette dallo sguardo innocente. E ancora sulla stessa tematica “Peluches e bonbons”, “Love story”, “Una rosa”, tutti quadri dalla forte accezione espressiva e segnica, animati da rose, caramelle, oggetti, che la donna riceve in regalo e che vanno in contrasto con quella che è ancora oggi la sua reale condizione.
Soggetti che diventano simboli e che nascono da una riflessione acuta sugli eventi, che ambiscono a mettere in luce la nostra umanità, la nostra società, avvalendosi di oggetti banali che popolano il nostro vivere.
Opere provocatorie dunque, palese manifestazione di un incombente desiderio di comunicare, di stimolare il pensiero, di non rimanere indifferenti o peggio ancora superficiali e inermi come i suoi peluches altamente simbolici e sobillatori.
Sono tele ricche di dettagli suggestivi che si susseguono ripresentandosi da un’opera all’altra per diventare componenti riconoscibili: una galleria di immagini animate da soggetti che all’apparenza non hanno alcuna attinenza con l’insieme perché sono elementi spinti fuori da se stessi per diventare formali, dotati di forte presenza visiva e accesi da colori che rafforzano il loro potenziale attrattivo. La loro leggerezza diventa espediente accattivante che non vuole imporre alcun insegnamento morale quanto piuttosto la volontà di stuzzicare una riflessione e la loro valenza sorprendente è manifesto di una curiosità intuitiva.
E se a uno sguardo superficiale questo “modus operandi” potrebbe sembrare quasi banale nel contenuto, risulta invece a chi conosce bene lo spirito e il pensiero di Elena, complesso, irriverente, ironico, provocatorio, altamente concettuale. Perché sono opere che celano labirinti di significati e costruite per farci andare al di là del segno: strutture creative frutto di una tensione percettiva che scaturisce da una riflessione curiosa che mai si arresta.
Quello che si riscontra nel suo lungo e fruttuoso percorso creativo è un legame tra tutta la sua produzione artistica poiché ogni creazione si lega alla precedente rappresentandone un’evoluzione, una conseguenza cognitiva.
15/12/2019
PARALLELI GLOCAL
Maurizio Vitiello
Elena Di Felice opera alla fine degli anni Ottanta e redige i primi dipinti a olio, che possono essere considerati prove ed esercizi d’accademia; successivamente, guardando se stessa, cerca di delineare una prima figurazione.
Negli anni Novanta produce centinaia di disegni e col pupazzo a forma di goccia ricorda un mondo ludico-infantile.
Le “Vignette” e i “Totem” riflettono osservazioni dei disegni dei figli, ma sperimenta su altre gamme di definizione.
Il pupazzo-goccia nei collages recupera temi socio-politici, nonché ambientali e sportivi, sino a portarsi ad assumere una quota destabilizzante;quasi paventa di essere un intruso, che sollecita, però, riflessioni.
Dal ’99 ricicla ogni tipo di carta e sfruttando le diverse qualità oggettive e macchinando con colori ottiene risultati luministici variegati.
Sceglie tra le tante carte dipinte e le immerge nell’acqua e in una frammentazione caleidoscopica ottiene textures frammentate, che incolla su tela, tavola o cartoncino; ci ricorda, per assimilazione comparativa, la moltitudine delle punte di carta bruciate della produzione di Maya Pacifico e il consapevole riciclaggio e riposizionamento nella fattura eletta dell’artista Maria Pia Daidone, ambedue operanti a Napoli, con agganci europei.
Elena Di Felice operando sul riciclo ottiene chiasmatiche confezioni di visioni.
Si prepara a riclassificare nuovi alfabeti con accostamenti disparati.
Arriva allo “strappo” del dipinto su carta,che motiva cambiamenti e sostanzia nuove significazioni.
La continua rielaborazione degli scarti, delle materie conservate, degli strappi episodici la portano a far dialogare contraddizioni e opposti, in una nuova e continua ricerca di dialoghi, insperati e/o non previsti.

*Le paginette ecologico-ambientali, che vanno dal 2009 al 2012,
sono investite dal simbolico albero.
Spoglio, nudo, dichiaratamente sincero è trattato col pastello, col pennarello, colla china.
Alberi e alberi sono stesi su carta recuperata da vecchi libri e quaderni mentre fotografie di fiori, frutta, prati, siepi, oltre a frantumi di pittura e di segni costellano una marea di intenzioni.
In un caos naturale l’albero s’eleva, si staglia, si stacca in una essenziale nudità, quasi a confermare un ostinato orgoglio, facendo emergere una sua singolarità in un ambiente di affastellamenti e di trattazioni di svolgimenti energici.
Comunque, la sua attenzione riattiva anche il frammento di carta dipinto che può distinguersi come lembo di terra, stagliata linea, tracciante confine, evidente orizzonte in cui s’inseguono, a scalare, primi piani.
Vengono fuori paesaggi senza alberi, né città, determinati da galoppanti cromie che intendono consegnare e rimettere in un gioco sottile di rimandi un immaginario che vuole sfidare la realtà.
I collages con gli alberi indicano isolamenti, scorie d’incomunicabilità mentre nei paesaggi indeterminati c’è lo scatto per la rinascita, la rivincita, il ritorno vitale.
I pensieri logici vengono abbandonati per lasciare spazio al recupero della fantasia con ricordi irregolari, ma palpitanti.
Nelle tele con gli alberi i pensieri si replicano in un flusso di moltiplicazioni, quasi una gemmazione indistinta senza soffi di spiragli.
Esplora, dal 2009, la plastica fluidità dell’acqua con l’inserimento nei collages della mappatura geografica dei fiumi italiani ed europei, raccolti a guisa di serpentelli febbricitanti, che perforano a macchia un corredo di forme e colori.
L’ironia solleva il tema dell’inquinamento dei fiumi e la problematica dell’acqua come necessaria risorsa idrica, accanto al termine EAU riferito e legato al profumo francese; ma le bottigliette di profumo, i vasetti di crema, i rossetti e i tubetti stesi con reti da cantiere, ritagli di giornale, sono da leggere come oggetti “inquinanti”, insomma devianti.
Per il 2011 sono da considerare anche le seguenti opere “Eau de fleur”, “Eau”, “In vetrina”, “Con leggerezza”, “Una sfida”, “Spicchio di Luce”, “Economia globale”, …
Coll’uso di oggetti comuni e con plurime immagini, estremamente
differenziate,vuole legare una residuale empatia al suo fronte operativo, tanto per entrare in un’ipotetica, potenziale, virtuale conversazione con tutti; perché tutti avranno avuto a che fare con qualche oggetto, in un modo o nell’altro.
Segnaliamo che in questo ciclo facevano parte le due tele presentate alla 54^de “La Biennale di Venezia”, Regioni d’Italia, al Palazzo Collicola di Spoleto, quali “Luminosa Quotidianità” e “Cantiere-Italia, 2009”.
Dal “Goccismo” in cui si evidenziano pupazzi-goccia avvinti da rami onirici e a pregiudiziali infantili, dal sapore pop, passa a scenette ludiche, sotterraneamente grottesche, per produrre “paginette” marezzate da elementi di un diario di scelte, intimo e complesso.

*Ora passiamo al periodo “Body and soul”, 2011-2013, in cui situa solinga la donna; nuda, isolata, lontana, separata, diversa dall’insieme agglutinato di figure, segni e disegni.
Con un fascio proiettato, quale segno di chiarore su un magma indistinto, “salta” su corpi di donna, pupazzi e oggettività diverse e singolari.
Da ricordare le seguenti opere: “Crocevia di interessi”, “Luna caprese”, “Vie di fuga”, “La grande incognita” e “Choose to be optimistic”, … e etc., per cui ha impiegato foto in b/n, scelte da riviste femminili, di moda, di design, manipolate e fissate, poi,con resina e il colore giallo.
La nudità della donna non è da intendersi come richiamo sessuale, ma come simbolo sensuale, al contempo, fragile e forte; fragile per il nudo adamitico e forte perché senza veli, belletti, orpelli, sovrastrutture; si mostra semplice, vera, sincera, genuina, autentica.
Il corpo femminile è posizionato in un caos di forme, figure, segni e disegni, ma, come l’albero e il fiume, risulta pur sempre isolato, anche se serrato da un mondo contaminante, gravido di mille suggerimenti fashion, di appelli mediatici e di segreti da “beauty”.

*L’artista, dopo il 2010, ha scelto, dall’indistinto insieme della frammentazione cartacea delle figure-simbolo, le silhouettes di giocatori di calcio, e ha prodotto, dal 2013 al 2015,una serie che ha intitolato “Sportivamente parlando”.
Per il 2014 si possono evidenziare i seguenti titoli: “Passaggi veloci”, “Idea di aggregazione”, “Una breve partita”, “Il ciclo della vita”, “Al centro del deserto”, “Dopo la tempesta”, “Deliziose novità”, “Solidi affetti”, “Radici nel cemento”, …
Ha inserito, su un ben distinto campo visivo, a precisa scacchiera, i dipinti su carta seguendo una regolare sequenza geometrica.
Le sagome dei calciatori, ben distribuite sulla tela, si staccano dal contesto e non vivono “rapporti di parentela” con il fondo, ossia con la scacchiera dei dipinti o con l’affollata distribuzione dei frammenti.
Per il 2015 sono da considerare, in particolare: “Stopper”, “Oltre le barriere”, “Ripresa del gioco”, “University”, “Up and down”, “Nell’occhio del ciclone”, “Allenamento”, …
Il giocatore di pallone è collocato non per una possibile partita di calcio, ma per rappresentare una figura di mobilità, che potrebbe sparire in una dinamicità segreta, seguendo una propria vita, in parallelo a quelle altrui.

*Fondamentalmente, la produzione dell’artista sostanzia, nel contempo, icasticità su flesse dinamicità.
Forti caratterizzazioni simboliche, di temprata sensibilità, in ragionate composizioni, che sottintendono animate intensità nella vitalità delle figurazioni, eleggono meditate risoluzioni ed espressive tensioni emotive, protese a essere temi di considerazioni e di meditazioni.
Laterali o sottili figure, comunque, emergono da un terreno di incroci di intriganti e seduttivi effetti.
Esplicita da una rete di rimandi, sequenza dopo sequenza, iconicità dopo iconicità, speculari citazioni e momenti attuali, ben colti da scelte oculate.
Vengono fuori magie interpretative, che si staccano da segmentate visioni, e seminano una teoria avvolgente di sensi e di contromisure.
E’ una pittura che vive di rilanci con prospettive psicologiche; è narrazione di storie, resoconti, singolarità interpretative.
Sviluppi simbolici e abbreviazioni illustrative specificano motivazioni antropologiche su suggerite intenzioni di sentimenti.
La misura delle sue composizioni mostra regole di esistenza e trasferisce ostinate, contrarie, resilienti trasmigrazioni semantiche in avvertiti passaggi di riverberanti osservazioni.
L’artista da frazioni di ventagli segnico-cromatici passa a relazionare ambienti di simbologie e molteplicità di gesti.
I suoi attraversamenti risalgono indagini e prospettano intense cadenze di idee e aderenti caratteri di illuminante peso narrativo.
Decisioni segniche fanno scivolare forza interiore e respiri intimi e puntano a raccogliere giuste direzioni mentali e cammini di pensieri.
In affabulanti scorrimenti si agitano concrete vibrazioni mentre veloci rinforzi segnici replicano una scansione di variazioni di atteggiamenti e di insistiti impulsi di primari obiettivi.
Condensazioni “glocal” hanno risoluzione in proposizioni interpretative di spiccato senso passionale.
I vari passaggi emotivi restituiscono emersioni di un’anima tentata dal possibile e sempre in intesa con il suo “esprit”.
In conclusione, armonie sono inseguite, dopo aver operato su credibili intese e su mute convinzioni, e s’agganciano al giusto filtro in cui convergono appunti di una coscienza allenata a modificare, selettivamente, le percezioni del mondo.
15/07/2018
Elena Di Felice
Gabriele Perretta
[...] Da quello che apprendo dal suo curriculum, vedo che nel 1999, insomma verso la fine del secolo, lei si mostra stanca dell’esperienza lirico-onirica e, subendo un forte fascino da parte delle impellenze reali, che passano attraverso l’uso e il dis-uso dell’informazione , lei si imbatterà, ben presto, in tecniche e materiali diversi dalla pittura, fatto che testimonia quanto sia stato importante il Novecento per il sistema collage e per un suo qualsiasi derivato, de-collage et alias. Da quel momento, in cui intuisce che per stare nella realtà più conflittuale e più urgente dello “spirito del tempo”, lei ha scelto di confrontarsi – al di là della pittura - con il riciclo di carta di ogni genere e di contenitori vari e di aprire la strada a ciò che potrebbe esser detto atteggiamento di filtraggio dell’arte, sponda a dir poco ecologista o post-ecologista dell’immagine. La mente del lavoro si rivolge ad un’immagine di “risulta”! In cosa consiste, dunque, il periodo delle “Discariche”: in una vera e propria messa in discussione dei valori positivi dell’arte. Le Discariche sono una linea di confine, un punto di non ritorno, un momento di distillazione e di rigenerazione della sua nuova capacità creativa. La Discarica è un Sito di confinamento dei rifiuti solidi e liquidi provenienti dalle città e dalle industrie: si tratta di uno dei più comuni sistemi di smaltimento dei rifiuti. In effetti, l’opera d’arte funge da accumulatore e da riciclaggio di materiali provenienti da vari ambiti e stoccaggi nell’universo visivo della tela.
Successivamente nasce il momento delle “Paginette”. Da qui in poi, lo strumento di “sandwich mediale” si avvale di quello più genericamente sociologico. Ecco che avviene il connubio, ed ecco che la ripetizione infinita del collage si trasforma in baricentro della comunicazione pittorica. Qui la pittura subisce, tramite il filtro del collage e del de-collage, una sorta di redenzione sociale, essa mette da parte il momento “intimo” e coinvolge, con un contegno burrascoso, il “momento dell’altro”. L’esterno trascina l’imprinting astratto e manipolativo del nostro mondo consumistico. Come suggeriscono i ritrovamenti di pittura rupestre, l’ecologia , se non è la professione più antica, è probabilmente la scienza più vetusta. Non appena i nostri progenitori primitivi ebbero i primi pensieri coscienti, essi dovettero rendersi conto di quanto fosse importante conoscere dove potevano trovare piante commestibili e animali catturabili e dove potevano essere al sicuro dai nemici che cercavano di attaccarli. Per fare ciò dovevano imparare a conoscere l’ambiente e integrarsi in esso rispettandolo. Sappiamo che se vogliamo utilizzare i prodotti del mondo naturale senza distruggerli, se vogliamo produrre cibo per noi stessi e se vogliamo prevedere che cosa accadrà in un prossimo futuro nel nostro ambiente, dobbiamo conoscere il mondo naturale e gli organismi che lo compongono. Queste sue opere recenti “gentil” Elena Di Felice, avendo attraversato il ciclo delle Discariche, così come la critica ecologica degli anni Sessanta e Settanta ha attraversato il ciclo del DDT, sono destinate a documentare e promuovere questa conoscenza del differito-visuale. Si tratta, in altri termini, di lavori che tentano di individuare la distribuzione e l’abbondanza di eterogenei tipi di codici, di icone, di segni e di strutture visivo-semantiche, che oscillano tra il mondo della grafica e della carta stampata. Dovendo collegare l’esperienza della carta stampata e di quella dei movimenti artististici del secondo dopoguerra, Lei sa benissimo che forse è il caso di parlare di una tendenza che, ormai in contraddizione con i suoi stessi presupposti, appartiene al “classicismo contemporaneo”: ovvero il neo-dadaismo. Il neo-dada fu un movimento artistico affermatosi negli Stati Uniti negli anni Cinquanta del Novecento, caratterizzato dal recupero dello spirito e delle tecniche dadaiste in opposizione all’Action Painting e all’espressionismo astratto. I neodadaisti predilessero procedimenti espressivi fondati sulla combinazione piuttosto che sulla produzione (assemblage, collage, combine-painting, ready-made ), nei quali una parte preponderante avevano oggetti o parti di oggetti tratti dalla quotidianità (compresa tutta la carta stampata, dalle riviste ai manifesti ai volantini pubblicitari), smontati, manipolati e accostati ad altri elementi artistici ed extra-artistici. Caratterizzate da un intento ironico vicino all’estetica Dada, le opere new-dada assunsero tuttavia una valenza nuova, divenendo sovente uno strumento di denuncia della società consumistica. Iniziatori e maggiori rappresentanti della corrente, che aprirà la strada alla Pop Art, furono Robert Rauschenberg e Jasper Johns. In Europa il movimento si sviluppò a partire dal 1960 con un nutrito gruppo di artisti poi convogliati nel Nouveau Réalisme, tra cui Arman, Christo, César, Daniel Spoerri. Dunque, nella nostra memoria visiva, i Suoi lavori, per forza di cose, si debbono confrontare con l’esperienza del neo-dadaismo, ma a differenza di quanto avviene in qualche altro campo di ricerca visuale, qui la finalità non è direttamente collegabile all’esperienza della poesia verbo-visiva, né a quella del nouveau-realisme o del de/collage alla Mimmo Rotella, ma ad un tratto e ad una evidenza che tenta di spingersi oltre i filtri del “di/scaricato”. Tutta la mappa visiva che si presenta in forma di “di/scarica iconologica” procede tramite un giallo sostanziale di fondo che fa da collante e dà risalto alla base. Tutte le tele, attraverso l’uso di questo giallo, tendono ad unificare la trama generale del lavoro. Il giallo qui si presenta come uno spettro dalle tonalità calde e fluorescenti, che fa da unica lampada per illuminare una sola ed estesa istallazione. Nel giallo poi si mescolano e si insaporiscono i vari momenti della trama visiva: momenti di vita mondana si alternano a immagini di artisti, di uomini politici, di gente dello spettacolo; i tratti dello scarabocchio non mancano e la scrittura arcaica ed espressionistica si mescola coi disegnini che spesso ritroviamo nei non-luoghi del nostro quotidiano.
In un testo dell’inizio di questo decennio, dedicato alla “memoria del Cast” avevo ricordato che: “Nello Spazio urbano, da un po’ di tempo vediamo che centinaia di segni grafici, sticker, fogli di carta stampati ed affissi sono esposti su lampioni, cassonetti della raccolta differenziata, tombini, fermate degli autobus, sulle centraline Telecom e sui pannelli dell’Enel…”. Nel caso del procedimento Di Felice, non c’è una sostituzione in senso pubblicitario, ma una vera e propria trasformazione della tela in graffito e stencil, in campo di battaglia del consumo totale. La presenza costante e diretta dello “stickerismo pittorico” non fa altro che testimoniare l’invadenza degli ipercodici e dei trans-codici mediali1. Qui lo sguardo a cosa è spinto? Ad assecondare il lustro o l’immagine borderline? In maniera introversa, a questo punto la vista sembra che si confronti con una sorta di ecologia della visione, che passa attraverso il riassemblaggio in chiave “de/pictorica” del mondo dell’informazione , quella dello spurgo non è un’operazione facile e potrebbe tendere ad una particolare raffinatezza e complessità. [...]
30/07/2009